Scampia. Un quartiere napoletano, un territorio ferito e sanguinante, sipario di una delle più cruente guerre tra i clan camorristi mai vissute nella storia della Repubblica. Scampia. Un luogo pieno di storie da raccontare, di speranze da portare avanti, di impegno e forza: è questo che cercano di spiegare Rosario Esposito La Rossa e Maddalena Stornaiuolo al pubblico di LetterAltura la sera di sabato 27 giugno, all’auditorium dell’Hotel Il Chiostro. Raccontano di un quartiere di 80 000 abitanti, con 21 piazze di spaccio e 500 000 € ogni giorno spesi nei traffici di droga, la “neve”.
Nel 2004 questo territorio fu colpito da una violentissima guerra tra clan, gli Scissionisti e i Di Lauro, la cosidetta Faida di Scampia: 60 persone morte in 6 mesi, un terzo delle quali vittime innocenti, come Antonio Landieri, cugino di Rosario. Stava giocando a biliardino con i suoi amici nel bar del quartiere, il 6 novembre, quando venne ucciso da un commando del clan avversario, che sparò a fuoco aperto nel locale. Tutti gli altri ragazzi scapparono, ma Antonio no: non poteva. Era in sedia a rotelle, aveva una paralisi; gli sarebbe bastato un solo passo in più per vivere. “Antonio fu ucciso due volte, dal piombo e dal cattivo giornalismo”, dice Rosario: subito dopo l’assassinio i giornali della zona lo etichettarono come un “affiliato”, come un mafioso. Ci sono voluti dieci anni e due mesi prima che la Prefettura di Napoli lo riconoscesse come vittima innocente di Camorra.
Maddalena e Rosario raccontano anche altre storie di violenza e dolore. Gelsomina Verde, 22 anni, innocente, torturata, ammazzata e poi bruciata nell’auto del padre. Luisa e Pinuccio, vittime di mafia, vittime dello “zucchero di Camorra”, della cocaina, morti per strada, trattati peggio dei cani. Carmela, uccisa sulla porta di casa, trovata dalla figlia, Valentina, 14 anni, “col volto macinato da carne e piombo”. Narrano al pubblico queste storie, in forma di lettura drammatizzata o attraverso video autoprodotti, ma raccontano anche di una nuova Scampia. “L’unica cosa che possiamo fare per cambiare le cose è restare, lavorare, impegnarci per creare un’economia legale”. Hanno dato vita negli ultimi anni a una compagnia di teatro civile, hanno aperto due librerie e una casa editrice, una etichetta discografica. Hanno deciso di stare, e cambiare. “Il dolore non svanirà mai, ma possiamo condividerlo, e trasformalo in energia”. L’energia di rimanere, impegnarsi, ricordare e raccontare; l’energia di guardare “al di là della neve” e immaginare un nuovo mondo possibile.
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