Manolo dialoga con Mirella Tenderini
E' un fiume in piena, Maurizio Zanollo, alias Manolo, nel raccontare 40 anni di arrampicate libere sulle Dolomiti e sulle falesie di tutto il Mediterraneo.
Pur provenendo da una famiglia che non l'ha mai portato in montagna (“I miei parenti non mi avevano nominato nemmeno una montagna, mio padre non mi ha mai portato a camminare in montagna: loro valicavano le montagne per lavorare, per sopravvivere”), Manolo ha cominciato a 'fuggire' verso la montagna alla ricerca di qualcosa che a fondovalle con c'era o non riusciva a trovare: “Per me scalare era una cosa che veniva facile – racconta - : scalare é una questione di destrezza, certo, é ma anche un passo indietro, per questo é una cosa di per sé semplice. Per me non era importante arrivare in cima, ma 'come' arrivarci, senza chiodi, senza scarponi, senza corde”.
Manolo che scalava più pareti al giorno, sempre con lo sguardo all'insù, sempre con qualcosa che lo spingeva ad andare avanti e avanti ancora, che amava il sole che ti scalda la schiena mentre sei in parete, perché “in quegli ambienti di montagna io mi sono sentito subito a mio agio: il vuoto per me non era un vuoto, ma un appoggio”.
E allora, se il vuoto é un appoggio, non c'é nulla che ti può fermare... finché un giorno “mi sono anche reso conto che quei luoghi non erano più così amichevoli, così confortevoli: non mi sentivo più così a mio agio come prima, avevo cominciato a mettere nello zaino la voglia di ritornare, ho cominciato ad avere maggiore prudenza, data anche dalla consapevolezza di avere una famiglia”.
Allora é il tempo di fermarsi e di trovare, forse, altre vie.
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